lunedì 20 ottobre 2025

Il PD e la Calabria.

 Qualche considerazione sugli interventi pubblici di Mario Oliverio ed Enza Bruno Bossio sulle elezioni regionali. L'affermazione di Oliverio secondo cui la sconfitta sia da attribuire alla mancata opposizione in consiglio regionale nei passati quattro anni non coglie nel segno. È inconcepibile attribuire alla sola mancanza di iniziativa politica da parte del PD la vittoria schiacciante del centrodestra. Questo ragionamento appare dettato da un atteggiamento rancoroso che tradisce una profonda incapacità di fare autocritica sul passato. La desertificazione del centrosinistra ed in particolare la scomparsa del Partito Democratico dal territorio è un fatto che viene da lontano. Mario Oliverio è stato il più importante dirigente dei Ds prima e del PD dopo e dovrebbe assumersi le sue responsabilità politiche. Quando era presidente della Provincia di Cosenza soleva dire:"io sono il presidente dei sindaci". È indubbio che in quei lunghi anni, abbia privilegiato un rapporto di tipo gestionale in cui un atteggiamento di vicinanza personale di primi cittadini, qualunque fosse la loro estrazione politica, abbia prevalso rispetto ad un confronto che avrebbe potuto portare all'emergere di una nuova classe dirigente. Non era importante fare crescere elementi nuovi, l'importante era l'autoconservazione. Se pensiamo, quindi, che la colpa della disfatta sia dei consiglieri regionali uscenti, non andiamo da nessuna parte. La caccia al colpevole non è proficua per l'avvenire.

 Altro discorso, la lunga intervista che Bruno Bossio ha rilasciato al Quotidiano del Sud un paio di giorni fa. Mi sembra che l'ex deputata individui un problema cruciale quando mette in guardia dal fatto che si possa fare passare un puro sostituismo di persone come un autentico rinnovamento. Il pericolo c'è, anche perché portatori di idee nuove se ne vedono pochini. La Bossio individua nell'esistenza delle strutture speciali dei consiglieri regionali un fattore di stortura nel meccanismo democratico di selezione della classe dirigente. Un consigliere coopta nella sua struttura, stipendiandole, persone che sul territorio ricoprono incarichi negli enti locali, queste, a loro volta, nelle tornate elettorali, si adoperano per portare consenso al consigliere, non perché si ritiene che quest'ultimo sia il migliore del mondo, ma semplicemente perché rappresentante la prosecuzione di un reddito. È una cultura che il PD deve cambiare a combattere. Innovare i metodi significa questo. 

Poi, c'è l' altro problema, quello di allargare la partecipazione all'azione politica. Il PD è un partito che sul territorio calabrese è praticamente scomparso. Prima di realizzare il famoso ascolto dal basso, espressione tra le più inflazionate, varrebbe la pena questa volta partire dall' alto. Gli attuali dirigenti regionali del PD non sono manifestamente in grado di innovare e allargare, gli elementi di cui parla la Bossio. Forse converrebbe azzerare i vertici affinché la base e tutti quelli che non si rassegnano a questo centrodestra possano finalmente incominciare a contare qualcosa.Partire dall'alto per andare al basso.



mercoledì 8 ottobre 2025

Cercasi leader urgentemente.

 Se perdi con sedici punti di scarto significa che non esisti. In questi giorni ha fatto molto discutere l'articolo di Annalisa Cuzzocrea, giornalista calabrese di Repubblica, sul risultato delle regionali. Tutto condivisibile, non esiste il progetto. Problematica invece la sua affermazione che non c'è bisogno di cambiare gli attori in campo, perché non sono figurine della Panini. Le persone non sono adesivi, è vero, ma proprio per questo in politica hanno un'importanza decisiva. Se il personale politico non è quello giusto, nemmeno il migliore programma può avere successo. Nel caso del centrosinistra, la questione è ancora più drammatica perché un leader non c'è. 

Esiste una specie di tavola rotonda, come quella dei cavalieri di Re Artù, in cui il segretario del maggior partito è solo un primus inter pares. Per il resto, il primo che si alza la mattina parla e detta la linea. Così non si va da nessuna parte. Manca un figura a cui venga riconosciuto il ruolo preminente di fare la sintesi e orientare la discussione.

 Il campo largo non funziona e non perché i vari partiti siano in competizione tra loro, perché questa è una cosa fisiologica. Il campo largo non funziona perché non prevede l'individuazione di un leader: comandano un po' tutti come in un condominio ad alto tasso di litigiosità. 

Le elezioni calabresi in realtà non sono state un confronto tra due schieramenti, ma tra il centrodestra e la sua voglia di superarsi. Dall'altra parte c'era un candidato alla presidenza che non ha nemmeno la residenza in Calabria e la cui proposta principale è stata la riformulazione del reddito di cittadinanza, una misura assistenzialistica per una terra che ha bisogno di sviluppo. 

Per vincere le elezioni in una democrazia ci vuole il consenso e le liste che sostenevano Tridico erano per lo più costituite da persone che di consenso non ne avevano affatto. La performance di AVS e Movimento 5 Stelle testimoniano la loro totale assenza negli intendimenti degli elettori, nel senso che i calabresi non ci pensano proprio a votarli. 

Il fenomeno dell'astensione che sembra colpire in maniera forte il centrosinistra è connesso al fatto che lo schieramento non ha un leader nazionale. Qual è la linea del centrosinistra in politica estera? Non possono coesistere persone che sono contro la difesa e persone che, invece, considerano le nuove minacce esterne come una cosa seria a cui porre un riparo. Non si può mettere sullo stesso piano Putin e Zelensky. 

Il frangente della politica interna appare ancora più confuso, con un Movimento 5 Stelle che è contro le opere pubbliche. Un Partito Democratico che si è accorto, dopo dieci anni dalla sua formulazione da parte di Tito Boeri, che in Italia serve un salario minimo. Un PD che non riesce ad elaborare una proposta sull'emergenza abitativa e sui temi del lavoro rincorre disperatamente la Cgil.

Lo stesso atteggiamento di credere che le piazze per Gaza, geneticamente aliene dai partiti, si sarebbero tradotte in consenso tradisce una preoccupante mancanza di analisi di un gruppo dirigente democratico debole e impreparato.

Al centrosinistra serve un leader perché la posta in gioco è troppo alta. Nella primavera del 2026 verrà celebrato il referendum costituzionale sulla divisione delle carriere dei magistrati. Se la riforma dovesse passare sarebbe il sigillo di una deriva autoritaria a quel punto difficilmente arrestabile. Se la sinistra dovesse riuscire nel compito di perdere anche il referendum sarebbe un colpo letale, forse ancora più profondo della perdita del referendum sulla scala mobile del 1985. Ci vorrebbero anni per riprendersi e con esiti per nulla scontati.

Alla sinistra serve un leader che abbia l'autorevolezza di dettare la linea. Bisogna che Conte, Bonelli, Fratoianni, Renzi si mettano di lato. Nella foto di famiglia non possono stare tutti in primo piano. 

Non c'è più tempo. 




venerdì 3 ottobre 2025

Se la Flotilla batte i sovranisti

 Antonio Labriola nelle sue lezioni su Marx ha sottolineato il fatto che se togli al marxismo l'idea di universalismo gli hai tolto l'essenza più autentica. Due giorni fa, un rappresentante dei portuali di Livorno spiegava ad un giornalista il significato del blocco di una nave israeliana portacontainer.  Sì ferma il lavoro perché dall'altra parte del Mediterraneo c'è gente che viene uccisa dai proiettili e dalla fame. Una volta un insegnante mi ha detto che il lascito più importante di Marx non è il Capitale, ma il messaggio della solidarietà tra gli uomini, al di là dei confini, al di là di qualunque barriera. È l'universalismo di cui parlava Labriola. 

In questi giorni, e ancora di più adesso dopo l'attacco della marina militare israeliana alla Flotilla, centinaia di migliaia di persone si sono riversate per le strade in manifestazioni spontanee per protestare contro la distruzione del popolo palestinese. Da Brasilia a Barcellona, da Berlino ad Atene si sono mossi tantissimi cittadini. Da noi, le manifestazioni sono autentici fiumi di gente di tutte le età, di tutte le estrazioni sociali e probabilmente di orientamenti politici diversi. Meloni ha parlato di weekend lunghi, di rivoluzioni che mal si sposano, dimostrando di aver capito poco di quello che sta accadendo. Certo che queste manifestazioni sono contro il governo, questo è talmente evidente che non varrebbe nemmeno la pena di sottolinearlo. 

Il problema è un altro: la moltitudine di persone che percorre le strade delle città italiane smentisce clamorosamente la narrazione che i partiti di destra e purtroppo anche qualche esponente del centrosinistra sta ripetendo da anni per cui gli interessi di un popolo sono indifferenti, quando non confliggenti,  con gli interessi di un altro popolo. È la dottrina sovranista, ognuno a casa sua a farsi i fatti suoi. La gente in questi giorni sta mettendo completamente in crisi questa visione. I portuali di Genova e di Livorno perdono delle giornate lavorative perché sono solidali nei confronti di un altro popolo che soffre. Oggi tanti lavoratori hanno scioperato per il sequestro degli attivisti della Flotilla da parte di Israele. La gente non ne può più delle sofferenze di Gaza, della complicità di Trump e del nostro governo zerbino della polita del presidente americano.

 È chiaro che si tratti di manifestazioni contro il governo, gli studenti universitari che manifestano pagano 700 euro per una cameretta e sanno che dopo una laurea conseguita con sacrifici economici enormi da parte delle loro famiglie, se gli andrà bene, troveranno un impiego sottopagato, dove l'unico progetto di vita  credibile è quello di emigrare. In piazza c'è tanta gente con i capelli grigi che paga tutte le tasse e poi ha problemi a pagarsi una visita specialistica nel privato, dal momento che il pubblico non funziona. Il dato nuovo è che molta gente si sente parte di un' unica umanità, non c'entra la nazionalità, il colore della pelle, la cultura. Si sta insieme.

 Indignatevi! È  il titolo di un celebre palphlet scritto da Stephan Hessel, medaglia d'oro della Resistenza francese. Ecco, moltissima gente ha smesso di credere alla propaganda e si sta indignando. Sicuramente molte di queste persone Marx non lo hanno mai letto, però, la loro richiesta di cambiamento sembra qualcosa di molto impellente e di cui una classe politica dovrebbe prendere atto, se ne è ancora capace.



mercoledì 4 settembre 2024

L'onda nera

 I fascisti sono più vivi che mai. Le elezioni in Sassonia e Turingia mettono in evidenza il fallimento della riunificazione tedesca. I land orientali sono rimasti poveri, condannati all'emarginazione sociale. I tedeschi dell'est si rivolgono ai neonazisti di AFD perché ormai sono disillusi, non si rifugiano nell'astensione ma vanno a votare perché pensano di poter ancora cambiare la situazione. L'affermazione di Sahra Wagenknecht è ancora più interessante, perché dimostra come stia facendo breccia un'interpretazione dell'emigrazione che ha degli epigoni anche in qualche economista italiano: l'immigrazione di massa produce una forte pressione verso il basso dei salari dei lavoratori autoctoni. Gli interessi dei lavoratori immigrati e quelli dei lavoratori tedeschi sono irrimediabilmente divergenti. 


La notizia di oggi che però mi sembra più importante è la rottura dell'intesa tra Volkswagen e sindacato. La più grande casa automobilistica d'Europa ha paventato la possibilità di chiudere alcuni stabilimenti, stante la crisi di competitività in atto. Perché questa mossa della Volkswagen? L'azienda sa bene che la chiusura di un solo sito produttivo determinerebbe un innalzamento del livello dello scontro sociale. Forse ha capito che i lavoratori sono così deboli in questo momento, che un inasprimento delle condizioni vedrebbe comunque l'azienda vincitrice. Tutta benzina sul fuoco dei rossobruni. Quali saranno gli effetti di una simile decisione sulle aziende dell'indotto come per esempio quelle italiane? Al momento è difficile rispondere. Più probabile un effetto di emulazione da parte di Stellantis che da mesi lamenta problemi di produttività anche in Italia. Si prospetta un autunno molto caldo.

giovedì 31 agosto 2023

Tassa sui rifiuti. Una proposta

Qualche tempo fa, leggendo un libro di Vincenzo Visco, "La guerra delle tasse", mi ha molto colpito una riflessione dell'autore, secondo cui il patto sociale è un patto fiscale e viceversa. Le persone convivono e accettano di pagare le tasse perché così tutti possono usufruire dei servizi che lo stato mette loro a disposizione. Partendo da qui, mi sono messo a pensare alle ragioni dell'abitare nei piccoli comuni e ne ho concluso che le tasse non sono un aspetto secondario di una dignitosa qualità della vita. È per questo che mi sento di fare una piccola proposta in tema di pagamento della tassa sui rifiuti. Mosso da questo proposito, sono andato a leggere il regolamento comunale TARI relativo al comune di Lungro, regolamento recentemente modificato.

 In tema di riduzioni delle utenze domestiche, l'agevolazione è del 30% per tipologia di soggetti: nucleo familiare composto da un'unica persona, abitazioni ad uso stagionale, soggetti che risiedano all'estero per almeno sei mesi all'anno (art.23 comma 1). Si potrebbe proporre, invece, di legare la riduzione sia per la quota variabile che per quella fissa alla situazione economica del contribuente. Stabilire delle riduzioni in base all'Isee. In tal modo, il pagamento della tassa risulterebbe molto più in sintonia con la condizione dei cittadini, garantendo il principio costituzionale secondo cui “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva” (art.53 Cost.). Legare le agevolazioni a degli scaglioni Isee garantirebbe una maggiore equità, avvicinando l'ente comunale alle esigenze dei cittadini.

 Naturalmente una simile innovazione determinerebbe una diminuzione di gettito che dovrebbe essere a carico del bilancio generale del Comune. Non so al momento che spazi di manovra ci potrebbero essere, anche perché confesso di non conoscere l'attuale bilancio dell'ente. Voglio però precisare che un sistema del genere è ampiamente in uso in tanti comuni. Senza andare lontano, si può guardare a Castrovillari.

 Abitare in un piccolo comune dovrebbe avere dei vantaggi che dovrebbero riguardare anche il pagamento delle tasse, tali da compensare i disagi che necessariamente in questi ultimi decenni hanno caratterizzato la situazione delle aree interne, con una pesante riduzione dei servizi.



venerdì 24 aprile 2020

Libera nos a malo

L’altro giorno, in Senato, il prof. Bagnai, commentando le comunicazioni del premier Conte, ha fatto un intervento degno di riflessione. Il senatore ha posto l’accento sulle limitazioni della libertà personale disposte dal governo che, comunque la si possa pensare, sono un fatto cruciale in una democrazia occidentale. Dettate dall’esigenza di contenere il diffondersi del virus, le restrizioni incidono su un caposaldo dello stato moderno, la sacralità della libertà del cittadino. Bagnai non è l’ultimo arrivato, con il suo libro “Fuori dall’Euro”, ci ha regalato pagine di grande intensità sulla natura del sistema monetario di cui facciamo parte. Vorrei solo citare la favola del centro e della periferia. Pertanto, non sarebbe corretto etichettarlo semplicemente come un senatore della Lega. La sua stessa valutazione sull’operato di Conte non è derubricabile a semplice polemica politica. Quest’ultimo ieri ha partecipato alla riunione dei capi di stato e di governo della UE e non ha perso tempo a fare poi la solita diretta Facebook per elencare i grandi risultati raggiunti. Ormai questi appuntamenti del nostro nobiluomo, che comunica direttamente con il popolo, hanno assunto i caratteri della farsa.

Prima di tutto l’Italia non ha ottenuto un bel niente, la bandiera di battaglia degli eurobond è stata definitivamente ammainata, il Recovery Fund diventerà operativo nel gennaio del 2021, se si raggiungerà l’intesa. La verità è che gli amici tedeschi ci tengono al guinzaglio, ma Conte fa credere che stiamo giocando una partita da pari a pari. Dall’affermazione altisonante “…altrimenti l’Italia farà da sola”, siamo passati a chiedere che una parte dei finanziamenti concessi al Paese siano a fondo perduto.

A questo punto, ci sovviene un pensiero che riconosco un po’ strapazzato: domani ricorre la festa della liberazione dal nazifascismo. Ebbene, una delle caratteristiche del Regime era proprio lo scollamento tra una retorica roboante e la dura realtà in cui gli italiani si trovavano a vivere soprattutto durante la guerra. La tragedia si ripete come farsa, direbbe il Moro.

Conte promette agli italiani finanziamenti a tassi aggevolati in banca, ma è di questi giorni la notizia che un istituto bancario ha rifiutato quattordicimila richieste fatte da piccoli imprenditori. Conte promette la cassa integrazione, ma nessun italiano ha ancora visto un centesimo. Intanto, nella realtà quotidiana, le mense della Caritas sono sempre più affollate. Oggi, un fruttivendolo di origine africana ha regalato cesti di frutta e verdura a padri e madri di famiglia italianissimi. Ci sono figli di italiani che non possono seguire le lezioni via internet, semplicemente perché non hanno una connessione ad internet e non hanno nemmeno un tablet. Stanno arrivando vagonate di soldi, anzi sono già in stazione, ma nel frattempo molta gente sta morendo di fame. Gli annunci mirabolanti del premier non sono le parole di un liberticida, ma somigliano molto a quelle del conte Mascetti: la supercazzola con scappellamento a destra…La farsa si ripete come tragedia. Buon 25 Aprile a tutti!

lunedì 14 ottobre 2019

La Storia non insegna niente.

La crisi siriana dimostra ancora una volta che l'Europa, come entità politica non esiste. La ridicola presa di posizione dei ministri degli esteri della UE non significa nulla. Vietare la vendita di armi alla Turchia è una vera presa in giro, perché i turchi hanno già le armi per perpetuare il loro massacro contro i curdi. Oggi, quello che fa più indignare è proprio l'atteggiamento dei governi europei, impauriti dalle minacce di Erdogan di riversare nel continente tre milioni e mezzo di profughi. Sono tutti terrorizzati dall'idea di perdere consenso all'interno dei propri paesi, dopo che per anni politici di quattro soldi hanno seminato odio e razzismo nei confronti degli immigrati. Che senso ha fare un governo senza la Lega se poi si condivide la sua visione di fondo? Un vero statista prende decisioni che possono risultare impopolari, ma le prende lo stesso perché ha il coraggio di farlo. Bisognava inviare un contingente militare al confine turco-siriano, nello spazio lasciato dagli Usa. Forse Erdogan non avrebbe osato bombardare con il pericolo di colpire le truppe di un paese alleato nella Nato. E intanto che Di Maio firma il suo decreto per vietare la vendita di armi alla Turchia, i curdi e i siriani muoiono. La verità è che del dramma curdo non importa a nessun governo. I curdi non rappresentano uno stato, non hanno petrolio come il Kuwait. Da venticinque anni a questa parte, hanno fatto solo una cosa: hanno difeso l’esistenza stessa della Civiltà contro il terrorismo. La situazioni odierna ricorda per certi aspetti la Conferenza di Monaco del 1938, quando Adolf Hitler smembrò la Cecoslovacchia per annettere la regione abitata dai sudeti. Il Führer lo fece di fronte ai pavidi ministri di Francia e Gran Bretagna, che non fecero nulla per impedirglielo, anzi accondiscesero nella speranza di placare la sete di dominio del Terzo Reich. Oggi l’Europa balbetta, si nasconde dietro vuote formule diplomatiche. Donald Trump scrive su Twitter dei comunicati che si contraddicono nel corpo stesso del testo in un evidente sintomo di schizofrenia politica. Tutto questo, mentre non troppo lontano da noi, un popolo sta combattendo e morendo con orgoglio e onore, quell’onore che il Mondo civile sembra aver perso.

venerdì 24 maggio 2019

Il Paese prima di tutto.

Le foto in bianco e nero presentano una forte suggestione, ma hanno anche un grave difetto. Non si capisce mai con certezza se ci sia il sole o il cielo sia plumbeo. Com’era il tempo il 9 maggio 1978 a Roma? Di quel giorno, molti di noi conservano un’immagine triste, grottesca. La posa innaturale del presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, con la testa reclinata da un lato, è un corpo da cui la vita se n’è andata. Prima c’erano state le lettere dal carcere brigatista, con la radicale e drammatica presa di distanza del professore rispetto al partito di cui era stato così a lungo dirigente. Il 7 giugno 1984, invece, faceva caldo. Padova era piena di comunisti, era la conclusione della campagna elettorale per le Europee. Enrico Berlinguer, stremato, cercava di concludere il suo comizio, mentre la folla gli gridava “basta!”. I comunisti avevano capito che il capo stava male. Il segretario del Pci morirà qualche giorno più tardi.
Dopo la morte di Moro, è successo un fatto di cui esiste un’esigua traccia, affidata alla memoria di un uomo ormai vecchio, Massimo Magliaro, che di mestiere faceva il capo ufficio stampa del MSI. Si tratta degli incontri riservati, quattro, forse sei, che Enrico Berlinguer e Giorgio Almirante ebbero tra il 1978 e il 1979. Di queste cose parla un bel libro, uscito di recente, scritto da Antonio Padellaro, “Il gesto di Almirante e Berlinguer”, per PaperFIRST. Sullo sfondo, e neanche troppo sullo sfondo, c’è il terrorismo, quello rosso e quello nero, e ci sono due uomini, due nemici. Da una parte c’è la lotta di liberazione e dall’altra c’è la Repubblica di Salò. Due persone più distanti non sarebbe stato possibile trovare. Eppure si incontrarono, si parlarono, probabilmente mutarono anche l’idea che l’uno aveva dell’altro. Forse impararono a stimarsi. Gli incontri avvenivano di venerdì pomeriggio, in una sala riservata di Montecitorio. Alla fine della settimana, infatti, la Camera era quasi deserta, i deputati ritornavano a casa e nei corridoi c’era poca gente. Ad accompagnare Almirante e Berlinguer vi erano soltanto due persone, Massimo Magliaro e Antonio Tatò. Non sappiamo l’argomento dei colloqui, perché A. e B., come li chiama Padellaro, ad un certo punto si appartavano e rimanevano soli. Forse si scambiavano notizie utili per fronteggiare l’ondata di violenza che da destra e da sinistra stava affogando l’Italia. Più che le parole, però, contano i gesti: l’incontro di due culture distanti, la volontà di porre gli interessi del Paese prima di ogni altra cosa. L’aspirazione comune che l’Italia meritasse di più.

Quando Enrico Berlinguer morì, la camera ardente venne allestita a Roma alle Botteghe Oscure. Tantissime persone si recarono a dare l’ultimo saluto a quello che, senza dubbio, rimane l’ultimo leader che il Pci abbia avuto. Tra le persone normali in fila, ad un certo punto ne comparve una che nessuno avrebbe mai immaginato potesse trovarsi lì. Un tipo calvo, con gli occhi azzurri. Tra lo stupore generale, Giorgio Almirante sostò davanti alla bara e si fece il segno della croce. L’erede di Salò rendeva l’ultimo omaggio al comunista, per niente amato dai comunisti sovietici. Sono passati trentacinque anni da allora, oggi i gesti hanno perso di importanza a favore della chiacchiera. L’unica costante rimane la corruzione dilagante, quel male contro cui una classe dirigente degna di questo nome aveva cercato di combattere. Quella battaglia, purtroppo, Berlinguer l’ha persa. Quel senso del bene comune, malgrado tutto e tutti, di cui Almirante e Berlinguer diedero testimonianza, è compromesso dal chiacchiericcio degli incapaci. Ciononostante sarebbe necessario mantenerne la memoria. E qui si inserisce la felice proposta di Padellaro, uno di sinistra, subito accolta da Pietrangelo Buttafuoco, uno di destra. Perché non intitolare una piazza a Giorgio Almirante ed Enrico Berlinguer? Sarebbe un fatto importante per ricordare a tutti, ed in special modo alle nuove generazioni (come si suol dire), che l’Italia ha avuto dei politici che, pur con visioni diverse, l’hanno amata più delle loro poltrone.

mercoledì 27 febbraio 2019

I quattro mori.

Sulle elezioni regionali sarde, in questi giorni, se ne sono sentite di tutti i colori. Sparate esilaranti ne abbiamo ascoltate da Di Maio:”Prima non eravamo nel Consiglio regionale, adesso ci siamo”. Battute ancora più colorite da esponendi del Pd:”Queste elezioni sono la prova che il bipolarismo non è morto, anzi!”. A sentire questa gente, hanno vinto tutti…Chi ha vinto e chi ha perso veramente? Ha perso il governo, questo è il dato lampante. I 5 stelle hanno subito un vero tracollo perdendo trecentomila voti in un anno. In televisione, i soliti esperti di flussi elettorali si sono addentrati in spericolate analisi per cui i voti dei grillini delusi sarebbero andati alla Lega e al Pd. I dati dicono altro, dicono che meno del venti per cento ha votato per il centrodestra e poco più del quindici ha votato per il centrosinistra. Il resto dov’è andato? Semplicemente non è andato a votare. Si è rifugiato di nuovo nell’astensionismo. Come dargli torto? In questi mesi chi aveva dato fiducia al Movimento 5 Stelle, ha dovuto assistere a continui cambi di linea, ripensamenti indecenti come sul Tap in Puglia e la promessa di aumento delle pensioni ai disabili con tanto di video su Instagram. Per non parlare del caso della nave Diciotti, dove si è assistito alla totale sconfessione di uno dei pilastri del Movimento per cui nessuno è al di sopra della legge, nemmeno un ministro. La pessima costruzione del Reddito di Cittadinanza in cui si confonde la lotta alla povertà con una misura attiva per il lavoro, ha fatto il resto. Gli stessi criteri per ottenerlo non fanno altro che escludere tante persone che si trovano effettivamente in una condizione di sofferenza. In secondo luogo, ha perso il centrosinistra che ha dovuto cedere la guida della regione. Il Pd, benchè sia risultato ancora primo partito, ha dimezzato la sua percentuale rispetto alle scorse regionali. Il centrosinistra esiste come artificio elettorale, un cartello senza un progetto politico nel migliore dei casi, nel peggiore un reticolo clientelare che cerca di sopravvivere alla temperie. La sinistra ormai sembra svanita dopo vent’anni di subalternità al neoliberismo. I diritti sociali e la questione meridionale sono scomparsi dall’agenda. Uno spazio veramente desolante quasi come un paesaggio urbano di Michelangelo Antonioni o un quadro di Edward Hopper. Ha vinto il centrodestra che non è solo la Lega come si vorrebbe far credere. Le elezioni sarde mostrano questo fatto in maniera inequivocabile. In Italia c’è un blocco sociale molto vasto, che in certi periodi della nostra storia diventa senz’altro maggioritario, che si richiama ai valori della destra, non solo e non tanto a quella sociale, ma quella fatta dalla paura del diverso, dal bisogno di sicurezza. La destra non è solo quella dei piccoli e medi imprenditori del nord, ma anche quella di chi è stato falcidiato dalla crisi di questi anni ed è stato abbandonato dalla sinistra. Chi abita nelle periferie di questo nostro paese si sente ed è dimenticato dalla politica, è povero e ha paura dei nigeriani che spacciano l’eroina sotto casa sua. Si tratta di un raggruppamento largo che non è solo la Lega di Salvini, si tratta di un diffuso e comune sentire. In questo quadro, la Lega non brilla nel risultato elettorale perché sconta l’impossibilità di mantenere le promesse. Benche Salvini abbia cercato di mostrarsi vicino ai pastori sardi, la sua operazione elettorale non ha portato grandissimi frutti. Se non hai un bagaglio culturale di un certo tipo non puoi capire veramente i problemi del Meridione, tale è la Sardegna. Se qualcosa di significativo emerge da queste elezioni sarde è la distanza tra un ceto politico impreparato e la realtà. Quando erano in corso le trattative per il governo nazionale, fonti giornalistiche riferiscono che Di Maio e Salvini convocarono il prof.Giulio Sapelli per sondare la sua disponibilità a ricoprire la carica di presidente del Consiglio. Emblematica la domanda che Di Maio gli avrebbe fatto:”qual è la sua visione dell’economia?”. Sarebbe bastato leggere la sua celebre Storia dell’economia italiana dal dopoguerra ad oggi, per sapere la visione di Sapelli, un cultore della terza via di Tony Blair. Il problema che oggi affligge il Paese è l’esistenza di una classe di governanti che non studia, non legge e si fa quasi vanto della sua poca preparazione. In una fase come quella che stiamo vivendo, noi italiani avremmo avuto bisogno di una classe politica strutturata sul piano culturale con gli strumenti giusti per leggere la società. Qualche settimana fa, Paolo Savona si è dimesso da ministro, non certo perché muoia dalla voglia di fare il presidente della Consob. Nella primavera scorsa, il professore sardo ha pubblicato la sua autobiografia Come un incubo e come un sogno, nella quale ricostrusce, tra le altre cose, il periodo del boom economico. Savona dimostra come siano stati fondamentali due elementi che hanno determinato quel cosiddetto miracolo: l’edilizia e le esportazioni. Quando era ancora ministro di questo governo, il professore aveva presentato un piano da cinquanta miliardi di investimenti pubblici. Questo piano è stato completamente ignorato. Il ministero delle Infrastrutture è retto da una persona, Danilo Toninelli, che non si capisce se sia un caso lampante di incapacità politica, o, più semplicemente, un caso clinico.

sabato 19 gennaio 2019

È tutta una grande Storia... Il 17 gennaio dell’A.D. 2019, passerà alla Storia (un termine molto amato dai 5Stelle) per la nascita del nuovo Welfare State. Il ministro dai denti più bianchi del mondo e più abbronzato del mondo ha dichiarato con tanto di slide che ormai è fatta, ci siamo: è sorto un nuovo Stato sociale. L’ossatura della nuova creatura è il Reddito di Cittadinanza. A un milione e settecentomila famiglie verrà data una card e sarà questa il mezzo per tirare via dalla palude della povertà i disperati italiani insieme a qualche centinaio di migliaia di stranieri residenti in Italia da più di dieci anni. È un fatto storico, è un momento storico, è proprio una cosa storica! Peccato che qualche giorno fa, il ministro Di Maio abbia pubblicato su Instagram una foto con l’elenco di tutte le cose fatte e tra queste ci fosse anche l’aumento delle pensioni ai disabili. Fatto anch’esso che attiene alla Storia: nel decreto appena licenziato non v’è traccia dei disabili. Il ministro per il quale “nessuno deve rimanere indietro”, si è dimenticato proprio di quelli che, di solito, sono sempre indietro. Il nostro, nello show a Palazzo Chigi, non ha mancato di sottolineare che le pensioni di cittadinanza riguarderanno anche duecentocinquantamila nuclei con disabili. Che a veder bene non c’entra niente con l’affermazione per cui abbiamo aumentato le pensioni ai disabili. Sarà una manovra espansiva, signore e signori, la povertà verrà abolita, perciò tutti sul balcone a festeggiare, mentre una signora in prima fila, vicino al palcoscenico, ride tanto che il rimmel si impasta con le lacrime. Silenzio in sala, per favore, c’è il presidente Conte:” Chi parla prima Matteo o Luigi?”. Parla Luigi per dire una verità che è già storia: chi non spenderà i soldi sulla card entro il mese, perderà questi soldi, perché questa è una misura economica. Non è che si regalano soldi senza un fine, bisogna “iniettarli” nel mercato. Peccato che l’iniezione senza investimenti serva a poco. Peccato che la Banca d’Italia abbia rivisto la crescita per quest’anno ad uno striminzito 0,6% invece che all’uno. Si faranno controlli affinché i poveri si comportino bene, perché potrebbero utilizzare la card per scopi immorali. A questo punto, entra in sala un navigator, è alto con capelli lunghi del colore del miele e lineamenti gentili, ha una corazza pesante e dei calzari d’oro, delle ali maestose. Silenzio in sala, sulla parete in fondo, al di là dei leggii, viene proiettato un film, è un remake di Matrix Reloaded, si intitola “Boom”. Ad un certo punto si vede l’autostrada digitale, fuori campo si sente la voce dell’Oracolo-Di Maio che ci preannuncia il miracolo economico. Doveva apparire Trinity sulla Ducati 996, invece, è comparsa una lambretta con i fanalini rotti. Luci.

mercoledì 1 aprile 2015

Un ricordo

La prima volta che ho sentito parlare di loro avevo sei anni. Ricordo che all’ultimo banco, in fondo all’aula, si sedeva Massimino. Aveva la carnagione scura, gli occhi vispi e occupava con naturalezza il posto riservato a chi non apparteneva alla borghesia cittadina. La maestra, infatti, consapevolmente aveva riprodotto le divisioni sociali che poi, da grandi, avremmo ritrovato nella vita. In prima fila, sedevano i figli di papà, poi, via via, noi che eravamo il resto dell’umanità. Quelli in ultima fila non esistevano. Eppure, c’era qualcosa in loro che mi attirava. Nel caso di Massimino, era la merenda: una pagnottella ripiena di Nutella. Il massimo della trasgressione. Noi, i convenzionali, ci portavamo un panino con il solito affettato. Se è vero che degli ultimi è il regno dei cieli, allora, tra i vantaggi del Paradiso ci deve essere pure la cioccolata alle nocciole. Questo era quello che pensavo guardando il mio compagno di scuola mangiare con gusto la sua merenda. Un giorno, ricordo che entrò in classe una signora dall’espressione molto seria, probabilmente la metà del suo stipendio era destinato all’acquisto di fondotinta Max Factor e rutilanti rossetti. Era alta e bionda. Aveva un camice bianco. Dopo aver parlato a voce bassa con la maestra, era uscita con la stessa espressione di superbia e indifferenza con cui aveva fatto il suo ingresso. Finalmente il mistero venne svelato. L’amazzone era il medico della scuola e ci doveva visitare tutti. Noi capivamo pochissimo di quello che stava succedendo. L’unico che sorrideva era Massimino. La maestra continuava a dire che era una specie di epidemia. “Quando a scuola viene certa gente, questo è quello che succede!” Furono convocati i genitori di tutti i bambini e a loro venne comunicata la tremenda verità:”pidocchi”. Era la prima volta in vita mia che sentivo quella parola. Se si fosse trattato di soldatini, avrei capito. Di quelli mi intendevo. I pidocchi, invece, non sapevo cosa fossero. “Ci gratta la testa perché abbiamo i pidocchi”, mi spiegò la mia compagna di banco. Ricordo che il pomeriggio stesso venni portato dal farmacista, un vecchio che sapeva molte cose. Mi guardò come se fossi stato un animale raro e dopo qualche secondo emise la sua sentenza:”Momsen”. Dopo aver fatto ritorno a casa, venni portato in bagno e la mia testa venne cosparsa di una polverina verde. I miei dissero che il giorno dopo sarei dovuto rimanere a casa, “per aspettare l’effetto”. “Domani sera bisogna lavargli i capelli con lo shampoo della farmacia.” Il giorno dopo, libero dal peso della scuola, giocai tutta la mattina con Bibì, il mio barboncino, e i soldatini. Nella mia mente di bambino, non riuscivo ad odiarli, i pidocchi. Erano stati loro a regalarmi quella breve vacanza. Una volta ritornato alla monotonia della scuola, trovai la maestra in preda allo sconforto più totale. Non riusciva a capire come mai fossero stati infettati anche i nobili. Le bestiacce non avevano risparmiato nemmeno loro, le teste coronate. Non esisteva più l’educazione! Fu allora che tutto mi fu chiaro. Il compagno che mangiava ogni giorno pane e cioccolata, sapeva… Sapeva che i pidocchi se ne fregano delle classi sociali, sono anarchici e vanno dove gli pare. Le bestione avrebbero impartito una lezione di uguaglianza forzata che difficilmente avremmo dimenticato. Per quanto mi riguarda, se esteriormente dovevo dimostrare tutto il mio ribrezzo verso quegli esseri sporchi, segretamente ho sempre conservato un senso di gratitudine verso di loro, per avermi donato un giorno di libertà. Per anni, questa storia è rimasta sepolta dentro di me. Poi, un giorno che mi trovavo dal mio barbiere, ho ascoltato il racconto di un fatto accaduto tanti anni fa, quando la miseria era per molti una compagna quotidiana (più o meno come oggi). C’era un uomo con la testa come un’anguria e con un solo capello. Su questa sfera liscia abitava un pidocchio che individuato dal barbiere correva come un forsennato, probabilmente perché non era d’accordo sul fatto di essere accoppato. Fu allora che mi venne in mente quell’episodio della mia infanzia. I pidocchi sono sempre stati emarginati rispetto ad altri animali. Pensiamo alle pulci e alla dignità cinematografica che hanno avuto. Pensiamo alla celebre esibizione delle pulci volanti del clown Calvero, in Luci della ribalta. Il domatore di pulci, Charlie Chaplin, rimarrà per sempre. Nessuno, però, riflette sul fatto che i pidocchi, per tanto tempo, hanno dimostrato ai bambini che tutti gli uomini sono uguali. E qualche volta, sono riusciti a dirlo servendosi del sapore dolce e intenso della crema alle nocciole. Gennaro Domestico

giovedì 15 maggio 2014