Quella
sera del 2011, quando Mario Monti apparve in televisione dicendo che per molto
tempo tutti avevamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità, diventò
chiaro a tanti italiani che esistevano due realtà. Una, rappresentata dalla
vita di milioni di persone che, quotidianamente, provavano sulla propria pelle
gli effetti della crisi; un’altra, quella di chi insegnava in prestigiose e
costose e private università, e molto spesso, sedeva nei board delle grandi
istituzioni finanziarie internazionali. Per sottolineare la gravità della
situazione, come curatore fallimentare del Paese, era stato scelto un uomo che
non ride quasi mai, con un piglio molto british. Bisognava fare sacrifici,
diceva costui. Tutti dovevano fare sacrifici. Ed è proprio quando disse questa
frase che la mia mente andò ad un aforisma che avevo letto da studente liceale:
“ La legge, nella sua solenne equità, proibisce così al ricco come al povero di
dormire sotto i ponti, di elemosinare nelle strade e di rubare pane.” Con il
passare dei giorni, capii il perché. Quando la legge è uguale per tutti,
inevitabilmente è ingiusta per i più deboli, perché non tiene conto che le
condizioni dei ricchi e dei poveri sono diverse: il divieto di dormire sotto i
ponti colpisce i senzatetto, non chi abita in quartieri esclusivi. Ce lo ha
spiegato bene il vecchio Karl Marx commentando l’aforisma di Anatole France.
I
tagli lineari operati dal governo Monti, la sua visione per cui tutti debbano
soffrire, inevitabilmente fanno soffrire ancor di più chi già soffre e
pochissimo chi non ha mai sofferto. Si chiama austerità. Il messaggio che doveva passare era semplice: il problema
era il debito pubblico, soldi che tutti avevano sperperato nel corso di decenni
di finanza allegra. Adesso bisognava provvedere. Gli italiani sono sempre stati
delle cicale spendaccione. Monti era nel giusto, Bruxelles era nel giusto, e
quello che è più importante, Angela Merkel era ed è nel giusto: bisognava
tirare la cinghia. Così, nell’anno del Signore 2012, si verifica la cosa più
grave. Guidata dall’ex rettore della Bocconi, una classe politica tra le più
scadenti del mondo occidentale, modifica l’articolo 81 della Costituzione e
ratifica il Trattato sulla stabilità, sul
coordinamento e la governance nell’Unione economica e monetaria, il
famigerato Fiscal Compact. Due iniziative destinate a dare un colpo mortale al
Welfare State e alla democrazia. In una totale e scandalosa assenza di
dibattito, nell’aprile 2012, vengono approvate in seconda lettura le modifiche
agli articoli 81, 97, 117 e 119. Viene inserito in Costituzione il pareggio di
bilancio. Dire che “lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese
del proprio bilancio”, significa castrare la possibilità per lo Stato di
intervenire con la spesa pubblica per mettere l’economia sul sentiero della
crescita, in lunghi periodi di crisi come quello attuale. Si annulla
quell’attività che si chiama “deficit spending”: sostenere oggi l’economia che
va male, per ottenere domani in termini di entrate fiscali le risorse impiegate,
quando l’economia si riprenderà. Attraverso questo sistema, si sono garantiti i
diritti fondamentali dei cittadini, come quello all’istruzione, alla salute.
Nella cultura neoliberista, che permea i partiti che hanno sostenuto Monti, il
Pd e il Pdl, lo Stato è la vera fonte di tutti i problemi e come tale deve
essere limitato. Lo Stato produce spesa e la spesa è il male assoluto. Con la
stessa inettitudine e indolenza nei confronti delle sofferenze che il Paese
stava vivendo, la maggioranza parlamentare approvò nel luglio dello stesso 2012
il Fiscal Compact. In questo trattato, tre sono le questioni rilevanti: il
divieto per uno stato membro di avere un rapporto deficit/Pil superiore al 3%; il
debito pubblico ( l’incarnazione del Male!) non deve superare il 60% del Pil,
in caso contrario bisogna intraprendere una serie di misure incisive per
rientrare nel rapporto, tagliando la parte eccedente; …and last but not least, il pareggio di bilancio, che si considera
raggiunto se il disavanzo strutturale non supera lo 0,5%.
Per
quello che qui ci interessa, soffermiamoci sul rapporto debito/Pil. Che cosa
accadrà nel nostro caso? Per i prossimi vent’anni, dovremo realizzare un taglio
del 5% annuo del nostro debito, che, tradotto, significa tagli alla spesa
pubblica per 45-50 miliardi annui. Con i migliori ringraziamenti a Berlusconi,
Tremonti, Monti, Letta e all’uomo che tweetta, Matteo Renzi, quello che doveva
andare dalla Merkel a farsi sentire ed è tornato con la coda tra le gambe. Tagliare
la spesa pubblica, è questo il mantra dei governanti europei. Pier Carlo
Padoan, attuale ministro dell’Economia, già consulente di D’Alema, lo ha detto
chiaramente : qualunque riduzione della pressione fiscale dovrà essere
compensata da tagli alla spesa. Come avverranno questi tagli? Rispondiamo con
un esempio: in occasione della conferenza stampa di presentazione del Documento
di Economia e Finanza, Renzi ha detto che non ci saranno nuove tasse, salvo
dire subito dopo che ci saranno tagli ai trasferimenti a regioni, province ( ma
non le aveva abolite?), e comuni, per 700 milioni di euro. Se ad una regione
come la Calabria vengono meno dei soldi dallo Stato e il suo bilancio è
assorbito per l’80% dalla sanità, chi pagherà il conto dei mancati
trasferimenti? La risposta forse è semplice, i cittadini. E’ evidente che 700
milioni di euro non siano una cifra esorbitante, ma quello che preoccupa è la ratio di questo governo. Io, Renzi,
faccio la parte di chi non alza le tasse e regalo un bonus di 80 € ad una
platea di lavoratori dipendenti dai quali il 25 maggio mi aspetto di incassare
un cospicuo dividendo elettorale. Contemporaneamente, riduco i trasferimenti
agli enti locali, i quali dovranno tagliare i servizi essenziali, aumentare i
tributi, aumentare l’addizionale Irpef.
Chi
viene penalizzato con questo modo di fare? Le fasce sociali più deboli, quelle
persone che dal 2008 stanno pagando il prezzo più alto a causa della crisi. Gli
inoccupati che, in Calabria, devono pagare i ticket sanitari, i pensionati per
i quali, 30 o 40 euro di addizionali comunali e regionali al mese, sono una
trasfusione di sangue. E’ la cultura dei gruppi finanziari che hanno fatto
grandi guadagni prima della crisi e stanno speculando adesso. Quelli che
letteralmente si sono mangiati la Grecia, il paese dove i bambini svengono a
scuola perché denutriti, cosa che, del resto, sta ormai accadendo anche in
molte scuole pubbliche inglesi. Il paese governato dai conservatori di Cameron,
il paese di Margaret Thatcher che per tagliare la spesa tolse la tazza di latte
quotidiana agli studenti. La patria del Welfare State guida l’offensiva contro
i più deboli, “gli assistiti”. L’importante non sono i bambini, ma preservare
la rendita delle società finanziarie. L’importante è sostenere le perdite del
sistema bancario con i soldi pubblici. Un sistema quest’ultimo, che invece di
sostenere l’economia reale, ha bruciato miliardi di euro in derivati. Non
bisogna andare lontano per avere qualche esempio. Prego consultare la voce
Monte dei Paschi di Siena. Questa cosa si chiama socializzare le perdite, far pagare
alla collettività i problemi dei privati, le banche.
In
questo senso, Matteo Renzi è solo un imitatore di Tony Blair e neanche ben
riuscito. Aveva promesso miliardi per l’edilizia scolastica e che fine hanno
fatto questi soldi? Sono diventati qualche milione di euro, spiccioli. Forse,
la verità è più banale: i personaggi scelti dalla burocrazia europea, organismo
che nessuno ha votato, per interpretare il ruolo di presidente del Consiglio, hanno
un solo mandato: smantellare l’odiato stato sociale, spalancare la prateria al
neoliberismo. Ecco il significato dei tagli alla spesa pubblica. Alla metà
degli anni ’80, la destra americana coniò un termine per questo: “to starve the
beast”, affamare la bestia, ridimensionare drasticamente lo stato. Solo che,
almeno in questo caso, i politici europei ci stanno riuscendo con un metodo più
raffinato che si chiama Fiscal Compact e pareggio di bilancio. Impedire che lo
stato intervenga per assicurare i diritti
delle fasce sociali più deboli con delle rigide regole contabili.
Ritornando
alla questione della modifica dell’art.81 della nostra Costituzione operato dal
Partito democratico e dal Popolo delle libertà, ho parlato di un colpo grave
inferto alla democrazia. L’importanza della questione, infatti, avrebbe suggerito
di sottoporre la legge a referendum popolare, proprio per far decidere il
popolo italiano su un tema che coinvolge il suo futuro, visto che il pareggio
di bilancio condiziona le decisioni del governo in maniera pesantissima. La
possibilità del referendum è consentita dall’art.138. Che cosa fece, invece, quel
parlamento screditato? Approvò la modifica con la maggioranza dei due terzi,
per evitare la consultazione popolare. Tutto nel silenzio più totale di una
stampa complice e, anzi, organica, al sistema dei partiti.
Di
fronte ad una disoccupazione giovanile del 43% ed al fatto che ogni giorno 40
imprese chiudono i battenti, l’assillo di Matteo Renzi è inviare tweet
propagandistici per le imminenti elezioni europee. La ripresa dei consumi è
affidata all’effetto salvifico dei magici 80 euro, per i quali, è bene
ricordarlo una volta di più, esiste la copertura solo per il 2014. Una ben
magra prospettiva per un governo che doveva cambiare verso.
Gennaro
Domestico