Se perdi con sedici punti di scarto significa che non esisti. In questi giorni ha fatto molto discutere l'articolo di Annalisa Cuzzocrea, giornalista calabrese di Repubblica, sul risultato delle regionali. Tutto condivisibile, non esiste il progetto. Problematica invece la sua affermazione che non c'è bisogno di cambiare gli attori in campo, perché non sono figurine della Panini. Le persone non sono adesivi, è vero, ma proprio per questo in politica hanno un'importanza decisiva. Se il personale politico non è quello giusto, nemmeno il migliore programma può avere successo. Nel caso del centrosinistra, la questione è ancora più drammatica perché un leader non c'è.
Esiste una specie di tavola rotonda, come quella dei cavalieri di Re Artù, in cui il segretario del maggior partito è solo un primus inter pares. Per il resto, il primo che si alza la mattina parla e detta la linea. Così non si va da nessuna parte. Manca un figura a cui venga riconosciuto il ruolo preminente di fare la sintesi e orientare la discussione.
Il campo largo non funziona e non perché i vari partiti siano in competizione tra loro, perché questa è una cosa fisiologica. Il campo largo non funziona perché non prevede l'individuazione di un leader: comandano un po' tutti come in un condominio ad alto tasso di litigiosità.
Le elezioni calabresi in realtà non sono state un confronto tra due schieramenti, ma tra il centrodestra e la sua voglia di superarsi. Dall'altra parte c'era un candidato alla presidenza che non ha nemmeno la residenza in Calabria e la cui proposta principale è stata la riformulazione del reddito di cittadinanza, una misura assistenzialistica per una terra che ha bisogno di sviluppo.
Per vincere le elezioni in una democrazia ci vuole il consenso e le liste che sostenevano Tridico erano per lo più costituite da persone che di consenso non ne avevano affatto. La performance di AVS e Movimento 5 Stelle testimoniano la loro totale assenza negli intendimenti degli elettori, nel senso che i calabresi non ci pensano proprio a votarli.
Il fenomeno dell'astensione che sembra colpire in maniera forte il centrosinistra è connesso al fatto che lo schieramento non ha un leader nazionale. Qual è la linea del centrosinistra in politica estera? Non possono coesistere persone che sono contro la difesa e persone che, invece, considerano le nuove minacce esterne come una cosa seria a cui porre un riparo. Non si può mettere sullo stesso piano Putin e Zelensky.
Il frangente della politica interna appare ancora più confuso, con un Movimento 5 Stelle che è contro le opere pubbliche. Un Partito Democratico che si è accorto, dopo dieci anni dalla sua formulazione da parte di Tito Boeri, che in Italia serve un salario minimo. Un PD che non riesce ad elaborare una proposta sull'emergenza abitativa e sui temi del lavoro rincorre disperatamente la Cgil.
Lo stesso atteggiamento di credere che le piazze per Gaza, geneticamente aliene dai partiti, si sarebbero tradotte in consenso tradisce una preoccupante mancanza di analisi di un gruppo dirigente democratico debole e impreparato.
Al centrosinistra serve un leader perché la posta in gioco è troppo alta. Nella primavera del 2026 verrà celebrato il referendum costituzionale sulla divisione delle carriere dei magistrati. Se la riforma dovesse passare sarebbe il sigillo di una deriva autoritaria a quel punto difficilmente arrestabile. Se la sinistra dovesse riuscire nel compito di perdere anche il referendum sarebbe un colpo letale, forse ancora più profondo della perdita del referendum sulla scala mobile del 1985. Ci vorrebbero anni per riprendersi e con esiti per nulla scontati.
Alla sinistra serve un leader che abbia l'autorevolezza di dettare la linea. Bisogna che Conte, Bonelli, Fratoianni, Renzi si mettano di lato. Nella foto di famiglia non possono stare tutti in primo piano.
Non c'è più tempo.

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