mercoledì 27 febbraio 2019

I quattro mori.

Sulle elezioni regionali sarde, in questi giorni, se ne sono sentite di tutti i colori. Sparate esilaranti ne abbiamo ascoltate da Di Maio:”Prima non eravamo nel Consiglio regionale, adesso ci siamo”. Battute ancora più colorite da esponendi del Pd:”Queste elezioni sono la prova che il bipolarismo non è morto, anzi!”. A sentire questa gente, hanno vinto tutti…Chi ha vinto e chi ha perso veramente? Ha perso il governo, questo è il dato lampante. I 5 stelle hanno subito un vero tracollo perdendo trecentomila voti in un anno. In televisione, i soliti esperti di flussi elettorali si sono addentrati in spericolate analisi per cui i voti dei grillini delusi sarebbero andati alla Lega e al Pd. I dati dicono altro, dicono che meno del venti per cento ha votato per il centrodestra e poco più del quindici ha votato per il centrosinistra. Il resto dov’è andato? Semplicemente non è andato a votare. Si è rifugiato di nuovo nell’astensionismo. Come dargli torto? In questi mesi chi aveva dato fiducia al Movimento 5 Stelle, ha dovuto assistere a continui cambi di linea, ripensamenti indecenti come sul Tap in Puglia e la promessa di aumento delle pensioni ai disabili con tanto di video su Instagram. Per non parlare del caso della nave Diciotti, dove si è assistito alla totale sconfessione di uno dei pilastri del Movimento per cui nessuno è al di sopra della legge, nemmeno un ministro. La pessima costruzione del Reddito di Cittadinanza in cui si confonde la lotta alla povertà con una misura attiva per il lavoro, ha fatto il resto. Gli stessi criteri per ottenerlo non fanno altro che escludere tante persone che si trovano effettivamente in una condizione di sofferenza. In secondo luogo, ha perso il centrosinistra che ha dovuto cedere la guida della regione. Il Pd, benchè sia risultato ancora primo partito, ha dimezzato la sua percentuale rispetto alle scorse regionali. Il centrosinistra esiste come artificio elettorale, un cartello senza un progetto politico nel migliore dei casi, nel peggiore un reticolo clientelare che cerca di sopravvivere alla temperie. La sinistra ormai sembra svanita dopo vent’anni di subalternità al neoliberismo. I diritti sociali e la questione meridionale sono scomparsi dall’agenda. Uno spazio veramente desolante quasi come un paesaggio urbano di Michelangelo Antonioni o un quadro di Edward Hopper. Ha vinto il centrodestra che non è solo la Lega come si vorrebbe far credere. Le elezioni sarde mostrano questo fatto in maniera inequivocabile. In Italia c’è un blocco sociale molto vasto, che in certi periodi della nostra storia diventa senz’altro maggioritario, che si richiama ai valori della destra, non solo e non tanto a quella sociale, ma quella fatta dalla paura del diverso, dal bisogno di sicurezza. La destra non è solo quella dei piccoli e medi imprenditori del nord, ma anche quella di chi è stato falcidiato dalla crisi di questi anni ed è stato abbandonato dalla sinistra. Chi abita nelle periferie di questo nostro paese si sente ed è dimenticato dalla politica, è povero e ha paura dei nigeriani che spacciano l’eroina sotto casa sua. Si tratta di un raggruppamento largo che non è solo la Lega di Salvini, si tratta di un diffuso e comune sentire. In questo quadro, la Lega non brilla nel risultato elettorale perché sconta l’impossibilità di mantenere le promesse. Benche Salvini abbia cercato di mostrarsi vicino ai pastori sardi, la sua operazione elettorale non ha portato grandissimi frutti. Se non hai un bagaglio culturale di un certo tipo non puoi capire veramente i problemi del Meridione, tale è la Sardegna. Se qualcosa di significativo emerge da queste elezioni sarde è la distanza tra un ceto politico impreparato e la realtà. Quando erano in corso le trattative per il governo nazionale, fonti giornalistiche riferiscono che Di Maio e Salvini convocarono il prof.Giulio Sapelli per sondare la sua disponibilità a ricoprire la carica di presidente del Consiglio. Emblematica la domanda che Di Maio gli avrebbe fatto:”qual è la sua visione dell’economia?”. Sarebbe bastato leggere la sua celebre Storia dell’economia italiana dal dopoguerra ad oggi, per sapere la visione di Sapelli, un cultore della terza via di Tony Blair. Il problema che oggi affligge il Paese è l’esistenza di una classe di governanti che non studia, non legge e si fa quasi vanto della sua poca preparazione. In una fase come quella che stiamo vivendo, noi italiani avremmo avuto bisogno di una classe politica strutturata sul piano culturale con gli strumenti giusti per leggere la società. Qualche settimana fa, Paolo Savona si è dimesso da ministro, non certo perché muoia dalla voglia di fare il presidente della Consob. Nella primavera scorsa, il professore sardo ha pubblicato la sua autobiografia Come un incubo e come un sogno, nella quale ricostrusce, tra le altre cose, il periodo del boom economico. Savona dimostra come siano stati fondamentali due elementi che hanno determinato quel cosiddetto miracolo: l’edilizia e le esportazioni. Quando era ancora ministro di questo governo, il professore aveva presentato un piano da cinquanta miliardi di investimenti pubblici. Questo piano è stato completamente ignorato. Il ministero delle Infrastrutture è retto da una persona, Danilo Toninelli, che non si capisce se sia un caso lampante di incapacità politica, o, più semplicemente, un caso clinico.

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